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Mercoledì 16 febbraio, i Governi di Giappone ed India hanno firmato a Tokyo un accordo di partnership e di libero scambio, rafforzando le loro relazioni politico-economico-commerciali.
In particolare, i dettagli dell’accordo riguardano l’ abolizione delle tariffe, pari al 94% sul commercio dei beni, nel giro di dieci anni. L’accordo è stato siglato tra il ministro degli Esteri giapponese, Seiji Maehara, e il ministro del Commercio indiano, Anand Sharma: Giappone ed India diventeranno quindi reciprocamente i più importanti partner di libero scambio.
Tale accordo va letto, soprattutto dal punto di vista giapponese, in una determinata ottica: la firma del trattato costituiva una priorità per il Governo di Tokyo. Proprio qualche giorno fa, infatti, il Giappone ha ceduto il secondo posto alla Cina come economia più grande del mondo. La popolazione giapponese è tra le più vecchie del mondo e la sua economia è bloccata ormai da due decenni: è stato proprio il premier giapponese, Naoto Kan, a sottolineare che il Giappone deve aprirsi per rilanciare le sue prospettive. Il Giappone sta quindi seguendo la strada della Corea del Sud, che attraverso i suoi accordi commerciali con altri Paesi è riuscita ad aumentare la propria competitività globale.
L’accordo con una potenza emergente come quella indiana rappresenta per Tokyo un importante traguardo oltre che una necessità. D’altro canto l’India, per voce del suo Ministro del Commercio, Anand Sharma, ha definito l’accordo come “storico ed importante”, evidenziando come il Paese stia influenzando gli andamenti e le tendenze dell’economia globale.
Pur essendo due grandi economie, Giappone e India hanno avuto scambi commerciali limitati nel 2010, pari ad una cifra equivalente a 11 miliardi di USD, appena l’1% del commercio mondiale giapponese. Basti pensare che gli scambi commerciali annuali tra Giappone e Cina superano i 317.000 miliardi di dollari.
L’accordo prevede una maggiore flessibilità per gli investimenti giapponesi nel settore indiano delle telecomunicazioni e per la vendita di medicine indiane in Giappone. Si permetterà inoltre maggiore accesso sul mercato giapponese di prodotti come curry, foglie di tè, legno e gamberetti, mentre l’India, a sua volta, ridurrà le tariffe sui prodotti automobilistici giapponesi, acciaio, lettori DVD e videocamere così come su pesche, fragole e patate.
Instaurando rapporti più stretti con l’India, si potrebbe aprire la strada a investimenti giapponesi per lo sviluppo delle risorse minerarie: già nello scorso Ottobre il primo ministro indiano Manmohan Singh aveva ipotizzato assieme al primo ministro giapponese, Naoto Kan, una possibile cooperazione in questo ambito che miri alla diversificazione delle risorse naturali. Il Ministro Anand Sharma ha anche proposto la creazione di un fondo di 9 miliardi dollari per contribuire a finanziare un corridoio industriale, operazione che mette in evidenza gli sforzi dell’India per migliorare la situazione delle proprie infrastrutture. Già dal 2007 esiste un progetto finanziato dal Governo Indiano e da diverse aziende giapponesi per un miglioramento dei collegamenti tra Nuova Delhi e Mumbai, capitale finanziaria dell’India.
L’accordo dunque, ampiamente caldeggiato da industriali ed imprenditori giapponesi, non si limita ad un mero scambio commerciale ma si estende anche ad altri progetti, intensificando le relazioni tra i due Paesi. In futuro potrebbe essere previsto un accordo di cooperazione nucleare che consenta alle imprese giapponesi di costruire nuovi reattori in India.
Da un punto di vista geopolitico, il segnale lanciato da Giappone e India all’altra grande potenza, la Cina, è davvero forte: è noto che l’influenza cinese nella regione non sia ben vista dal Giappone e che i rapporti tra Tokyo e Pechino siano pessimi. Le recenti dispute commerciali, valutarie e territoriali non hanno certamente migliorato la situazione, rafforzando invece i rapporti tra India e Giappone.
Nello scacchiere asiatico, Nuova Delhi si sta muovendo con determinazione e saggezza. Un ipotetico inasprimento delle relazioni diplomatico-commerciali tra le prime due potenze asiatiche, non potrebbe che favorire la terza. Ma anche la stessa India non guarda di buon occhio le operazioni territoriali ed infrastrutturali cinesi vicino ai propri confini e i prestiti concessi a Myanmar, Sri Lanka, Bangladesh e Pakistan per il miglioramento delle infrastrutture di questi Paesi. Queste le chiavi per la comprensione dell’accordo indiano-giapponese.
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