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L’export che verrà: strategia post-Covid, Digital Export e Made in Italy

L’export che verrà: strategia post-Covid, Digital Export e Made in Italy

Come sarà l’Internazionalizzazio post Covid-19? Quali sfide le PMI Italiane si trovano ad affrontare per sviluppare il loro export? Come interpretare i canali digitali? Affronto queste e altre tematiche nell’articolo pubblicato su LinkedIn. Voi cosa ne pensate?

 

La riapertura delle Regioni, post lockdown, è stata inaugurata da lunghe code sulle autostrade italiane mentre moltissimi imprenditori, piccoli o grandi, hanno fatto miracoli per far partire le loro attività all’insegna della sicurezza di clienti e dipendenti. Segnali reali che il Paese è pronto a rimettersi in moto. Rimane però evidente una sensazione di grande incertezza, soprattutto quando si parla di vendite estere.

In questo contesto le nostre imprese si trovano alla griglia di partenza con vantaggi e svantaggi: sono sostanzialmente in pole position (molti altri Paesi stanno ancora vivendo una fase di contagi in crescita) ma allo stesso tempo soffrono la penalizzazione di un motore economico nazionale per nulla performante (rispetto a quello dei concorrenti esteri che sono particolarmente agguerriti e pronti a sfruttare il post-Covid per ottenere vantaggi sui mercati).

Diventa quindi fondamentale scattare velocemente, con azioni mirate, essenziali e particolarmente concrete. Queste, a mio avviso, sono leve importanti per cambiare il nostro approccio ai mercati esteri. Dobbiamo pensare all’efficienza delle azioni commerciali e a quanto queste generano in termini di ritorno sugli investimenti fatti. Per fare un esempio: non ha senso cercare di aprire decine di Paesi esteri quanto in azienda ci sono risorse per svilupparne solo un paio. Serve quindi una strategia vera, anche per le PMI (che devono diventare sempre più efficienti se vogliono continuare ad esistere). Si deve partire dall’analisi (prima in azienda e poi del mercato) invece che partire dalla prima fiera di settore che ci è stata suggerita.

Scelto il mercato l’azienda deve massimizzare il risultato attraverso la costruzione di una presenza locale che non significa aprire una società (e certamente non un processo di delocalizzazione) ma creare una rete di relazioni fatta di persone con le quali vi sono rapporti continuativi e di valore. Non serve cercare agenti che facciano budget con provvigioni altissime (e prezzi fuori mercato) purché non siano un costo fisso. Se il lavoro di analisi è ben fatto, se il mercato è presidiato, l’investimento porta certamente i suoi frutti. Per farlo serve chi su quel mercato è “presente”.

In questi mesi che ci hanno immobilizzato di fronte ai nostri laptop ci siamo finalmente convinti che Digitale è bello. Dallo smart working allo smart yoga senza dimenticare i webinar siamo tutti diventati familiar con gli strumenti digitali. Di conseguenza abbiamo compreso che anche la vendita online, e non solo retail (quindi anche per i B2B) può essere utile per sviluppare nuovi mercati o nuovi target di clientela. Allo stesso tempo non dobbiamo dimenticarci che l’export digitale, a cui anche i nostri concorrenti esteri ricorrono, renderà il mondo ancora più piatto. Il cliente farà fatica a capire se un prodotto è Made in Italy o Made in un altro Paese. Quindi il cliente cercherà sempre più la risposta ad un suo bisogno o la soluzione ad un problema.

In altre parole: se la nostra impresa non crea valore, l’export digitale o quello tradizionale non sono la soluzione anzi, sono il modo migliore per spendere soldi senza ottenere ritorno.

Sempre in ambito digitale si legge negli ultimi giorni del miraggio delle fiere virtuali. Ma siamo davvero sicuri che questa sia la soluzione? A mio avviso no! Certamente saranno vetrine importanti, piattaforme di promozioni utili a rappresentare novità di settore e comprendere la direzione di un determinato mercato ma, senza la stretta di mano (magari il tocco sul gomito, vista la situazione), senza il confronto diretto, non vi è concretezza.

Post Covid non si potrà continuare a vivere all’ombra del brand Made in Italy. Per avere successo all’estero le imprese devono puntare soprattutto su Innovazione / Design / Technology Made in Italy. Dobbiamo superare i concorrenti perché abbiamo prodotti ad elevato valore aggiunto non solo perché sono fatti in Italia, altrimenti continuiamo ad alimentare la spirale del “è Made in Italy quindi si vende” perché all’estero non funziona per nulla così.

Dovremo superare l’approccio del micro-management e delle azioni solitarie. Dobbiamo puntare ad integrare le competenze in una catena di valore sempre più spinta. Le PMI (oltre il 90% della nostra economia) devono crescere altrimenti non riusciranno ad aggredire i mercati esteri e non potranno immaginare sviluppi esponenziali che saranno tipici della post-Covid Economy. Del resto i concorrenti esteri sono tutti mediamente più dimensionati e quindi, già oggi, in grado di attingere risorse qualitativamente e quantitativamente superiori ovunque nel mondo.

Il Ministero degli Esteri lo scorso 8 Giugno ha presentato il Patto per l’Export. Una serie di incentivi e strumenti per rilanciare l’internazionalizzazione delle imprese italiane. Alcuni di questi sono particolarmente interessanti in quanto prevedono il supporto esterno di personale competente in grado di guidare l’impresa nel suo percorso di crescita estero. Saranno utili solo se l’impresa vorrà veramente cambiare la propria cultura nei confronti delle attività di internazionalizzazione.

 

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