Il 2 aprile scorso ha segnato una svolta decisiva per tutte le aziende che intendono esportare negli USA: il Presidente Trump ha ufficialmente annunciato l’imposizione di dazi del 10% su tutti i paesi, con penalizzazioni ancora più severe per 60 nazioni considerate “worst offenders”, tra cui Cina e Unione Europea. La notizia ha immediatamente generato forte tensione sui mercati globali, mettendo le imprese italiane di fronte a nuove e complesse sfide commerciali.
Trump ha così mantenuto una delle sue principali promesse elettorali, portando i dazi USA ai livelli più alti registrati dalla fine dell’Ottocento. L’amministrazione americana ha giustificato questi provvedimenti come una correzione necessaria per rispondere alle presunte barriere commerciali sleali imposte da altri paesi, basandosi sulla convinzione che il deficit commerciale rappresenti un’ingiustizia da correggere.
Dopo intensi negoziati diplomatici e diversi round di contrattazioni internazionali, l’entrata in vigore dei dazi è stata posticipata al 7 agosto, una settimana oltre il calendario inizialmente previsto. Questa dilazione ha permesso ulteriori confronti tra le parti, ma non ha eliminato le preoccupazioni degli operatori economici.
Ora che le decisioni sono state prese e le tempistiche definite, rimangono aperte le domande cruciali: quali saranno i paesi più penalizzati? Che impatto concreto avrà l’Italia? E quali effetti si ripercuoteranno sul tessuto economico mondiale?
Le aziende europee stanno attualmente valutando come adeguare le proprie strategie commerciali verso gli Stati Uniti, considerando l’evoluzione del quadro tariffario e le opportunità che ne derivano.
L’approccio dell’amministrazione Trump si caratterizza per la sua flessibilità: alcuni partner commerciali hanno già definito accordi specifici, altri operano sotto tariffe standard, mentre per diverse nazioni i dialoghi commerciali proseguono attivamente. La maggior parte dei paesi è attualmente soggetta al dazio base del 10%.
Questa diversificazione delle politiche commerciali sta creando un panorama in evoluzione per gli operatori del settore. Per quanto riguarda l’Unione Europea, l’intesa di principio prevede tariffe al 15%, ma restano da definire i dettagli settoriali. Alcuni comparti produttivi – come farmaceutico, automobilistico e componentistica – sono ancora in fase di negoziazione per determinare l’applicazione specifica delle nuove regole.
Le aziende stanno quindi utilizzando questo periodo di transizione per esplorare diverse opzioni strategiche e valutare le migliori modalità per mantenere la propria competitività sul mercato americano. Molte imprese vedono in questa fase un’opportunità per rivedere e ottimizzare i propri approcci commerciali internazionali.
L’analisi degli effetti delle nuove politiche tariffarie statunitensi rivela un quadro articolato, in cui l’intensità dell’impatto è direttamente correlata ai volumi di esportazione verso gli Stati Uniti. I principali interessati risultano essere l’Unione Europea, seguita da Messico, Cina, Canada, Giappone e Corea del Sud.
La situazione europea presenta alcune peculiarità interessanti. Nonostante l’appartenenza al medesimo blocco commerciale, i singoli Stati membri registrano esposizioni tariffarie diverse in base alla composizione dei rispettivi panieri di esportazione. L’Irlanda, specializzata principalmente nel settore farmaceutico attualmente esente da dazi, presenta un profilo di rischio diverso rispetto all’Italia, che con un’esposizione media del 9% riflette la diversificazione del proprio export. La Slovacchia, concentrata sul comparto automobilistico, risulta invece soggetta a tariffe del 25% per questo specifico segmento.
L’Associazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre (CGIA) ha elaborato un’analisi complessiva che considera sia gli effetti diretti delle misure protezionistiche, sia quelli indiretti, includendo la contrazione dei margini aziendali, i costi sociali legati all’occupazione, eventuali rilocalizzazioni produttive e gli effetti valutari del dollaro rispetto all’euro.
Nonostante la prospettiva dazi, l’Italia mantiene una solida vocazione esportativa verso il mercato statunitense. I dati della Banca d’Italia evidenziano come il 92% dei prodotti italiani destinati agli Stati Uniti si collochi nella fascia alta e medio-alta del mercato.
Questa caratteristica qualitativa del Made in Italy potrebbe rappresentare un elemento di protezione naturale, considerando che i consumatori e le imprese americane ad alto reddito potrebbero mantenere le proprie preferenze di acquisto anche in presenza di incrementi di prezzo dovuti alle barriere doganali. Inoltre, le aziende italiane potrebbero assorbire parte dell’impatto attraverso un adeguamento dei propri margini operativi.
L’aspetto legale delle misure tariffarie rimane un elemento di rilievo nel dibattito istituzionale americano. Il sistema giudiziario statunitense sta infatti esaminando la base normativa su cui poggiano le nuove imposizioni commerciali.
Nel maggio scorso, la Corte per il commercio internazionale di New York ha sollevato questioni di legittimità riguardo ai dazi, contestando l’utilizzo di una normativa risalente a diversi decenni fa che attribuisce al presidente poteri economici eccezionali in situazioni di emergenza nazionale. Secondo l’interpretazione del tribunale, le condizioni attuali non configurerebbero tale stato di emergenza.
L’amministrazione federale ha reagito a questa pronuncia presentando ricorso presso la Corte d’Appello federale, avviando così un percorso giudiziario che potrebbe protrarsi nel tempo. Gli osservatori del sistema giuridico americano ritengono altamente probabile che la questione raggiunga infine la Corte Suprema per una decisione definitiva.
Questo sviluppo introduce un ulteriore elemento di variabilità nel panorama commerciale internazionale, poiché l’esito del confronto giudiziario potrebbe influenzare l’applicazione e la durata delle misure tariffarie attualmente in vigore. Le aziende e gli operatori commerciali stanno monitorando attentamente l’evolversi di questa vicenda legale come parte della propria pianificazione strategica.
Nel contesto di un’intervista intitolata “Dove l’export non paga dazio”, condotta da Motore Italia e pubblicata su Milano Finanza, il CEO di Octagona Alessandro Fichera, aveva già esaminato in dettaglio le strategie che le imprese italiane possono adottare per affrontare efficacemente i dazi americani e competere al meglio sul mercato globale. In tal senso, ha evidenziato l’importanza cruciale per le PMI italiane di sviluppare una solida presenza produttiva internazionale.
“Il manufacturing footprint è un aspetto su cui le aziende devono prepararsi il prima possibile”, ha affermato Fichera. Questo implica una valutazione approfondita per identificare i mercati più adatti su cui investire. L’intelligenza artificiale diventa uno strumento essenziale per analizzare rapidamente grandi quantità di dati e prendere decisioni informate.
A supporto di questo, Bonfiglioli Consulting, di cui Octagona è la Business Unit dedicata all’internazionalizzazione delle aziende, ha sviluppato un tool avanzato che consente di mappare i mercati e identificare potenziali criticità, come blocchi doganali o tensioni geopolitiche. Questo strumento permette alle aziende di anticipare e gestire efficacemente tali sfide, garantendo un approccio proattivo essenziale per adattarsi rapidamente ai cambiamenti del mercato globale e mantenere un vantaggio competitivo.
Alessandro Fichera ha avvertito che la mancanza di pianificazione e l’ignorare le differenze culturali sono errori comuni tra le PMI che puntano a intraprendere percorsi di internazionalizzazione. “Oggi i numeri rivestono un ruolo cruciale”, ha sottolineato, evidenziando l’importanza di analizzare attentamente i fornitori e predisporre sistemi di allerta per affrontare eventuali sfide di mercato. Le aziende italiane devono adottare strategie mirate e puntare sull’aggregazione per competere in mercati complessi e dinamici, dove i concorrenti sono spesso di dimensioni molto maggiori.
“Abbiamo bisogno di attrarre risorse estere in Italia per ampliare la nostra capacità culturale e la visione d’insieme”, ha aggiunto il CEO di Octagona. Questo approccio non solo rafforza la competitività delle imprese, ma amplia anche la loro prospettiva globale, consentendo di affrontare le sfide con una visione più ampia e integrata, migliorando la resilienza.
In merito ai paesi da monitorare, in una precedente intervista a Milano Finanza, Fichera aveva già indicato il Messico come un mercato molto promettente, soprattutto per gli investimenti produttivi. A Monterrey, il governo locale sta attirando investimenti esteri con incentivi significativi.
È importante tenere d’occhio anche Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e, in particolare, l’India, descritta come “un mercato con dinamiche di crescita impressionanti, ma complesso, che richiede un approccio culturale attento”. L’India, infatti, invita a produrre con tecnologie occidentali, ma utilizzando manodopera locale.
In un contesto in cui esportare negli USA è diventato più complesso a causa delle nuove politiche commerciali e dei dazi imposti dall’amministrazione Trump, e ulteriormente complicato dalle fluttuazioni del cambio euro-dollaro, l’economia italiana si trova ad affrontare sfide significative che possono anche trasformarsi in opportunità rilevanti.
Questa situazione richiede un’analisi attenta delle strategie di penetrazione del mercato americano, considerando non solo i dazi ma anche i costi logistici e la concorrenza sempre più agguerrita.
Mentre lo scenario geopolitico è in attesa di ridefinizione e nuovi accordi potrebbero essere stabiliti, l’investimento diretto negli Stati Uniti, attraverso la creazione di filiali o joint venture, può essere una strategia efficace per mitigare l’impatto dei dazi e garantire una maggiore competitività a lungo termine. Questo approccio permette inoltre di accedere a finanziamenti locali e di beneficiare di incentivi governativi, a seconda dello stato scelto per l’insediamento.
Abbiamo già discusso di come aprire una società negli Stati Uniti possa facilitare i rapporti commerciali con le imprese locali, che spesso preferiscono interagire con aziende soggette alla giurisdizione americana, semplificando così le procedure amministrative e accelerando i tempi di risposta.
L’apertura di una filiale negli Stati Uniti è generalmente agevole grazie a una burocrazia efficiente, sebbene richieda una conoscenza approfondita delle normative locali. In aggiunta, è essenziale per le aziende valutare attentamente il tipo di società da costituire, considerando fattori come l’assunzione di dipendenti, la tassazione dei profitti e la gestione dei rischi. Non è necessario avere un visto, essere residenti, costituire un consiglio di amministrazione, avere un socio americano o versare un capitale minimo obbligatorio. La scelta della struttura legale più adatta è fondamentale per ottimizzare la gestione fiscale e minimizzare i rischi.
Negli Stati Uniti, le principali forme societarie sono Sole Proprietorship, Corporation e LLC. La scelta ottimale dipende dalle esigenze specifiche dell’azienda. La Sole Proprietorship è semplice, ideale per piccole attività; la Corporation offre protezione legale ma implica doppia tassazione; la LLC combina vantaggi fiscali e responsabilità limitata. La tassazione sugli utili è del 21%, senza costi fissi iniziali, ma richiede pianificazione fiscale. La registrazione richiede la scelta dello stato, la verifica del nome, un agente registrato, documenti di incorporazione, un EIN, un conto bancario e il rispetto delle normative. Il processo, sebbene complesso, può risultare veloce e agevole se supportato da professionisti.
Il contesto globale pone sfide sempre più complesse per le imprese italiane che desiderano esportare negli Stati Uniti. Proprio in questa complessità però, si celano anche grandi opportunità. È fondamentale adottare un approccio strategico che combini competenze legali e fiscali, conoscenza del territorio e strumenti di analisi avanzati.
In questo scenario si inserisce un nuovo strumento pensato proprio per facilitare le scelte delle imprese italiane: la Guida Paese Smart, recentemente presentata dal Consolato Generale d’Italia a Los Angeles e da quello di San Francisco. La guida fornisce una panoramica approfondita degli 11 stati della West Coast americana, evidenziando opportunità settoriali, barriere normative, strategie di ingresso e casi di successo imprenditoriale. Un vero e proprio manuale operativo, ricco di dati aggiornati e risorse interattive, che aiuta a orientarsi nel mercato statunitense con maggiore consapevolezza e visione di lungo periodo.
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Per chi vuole esportare o investire negli USA, consultare la Guida rappresenta il primo passo per costruire una presenza solida, sostenibile e competitiva.
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