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Indonesia: overview economica e politica

Indonesia: overview economica e politica

Alla scoperta dell’Indonesia: overview politica ed economica di uno dei principali Paesi dell’area ASEAN.

L’Indonesia si configura oggi come uno dei Paesi più promettenti non solo da un punto di vista di crescita economica, ma anche da un punto di vista politico, e secondo gli analisti è destinato a rivestire in futuro un ruolo sempre più importante nello scenario globale. Sono molteplici i fattori che renderanno tale Paese un player di primo piano nello scacchiere internazionale.

L’Indonesia è la prima democrazia islamica e il più grande Paese musulmano al mondo, con una popolazione di 229 milioni di abitanti (il quarto a livello globale per numero di abitanti). Il Paese Asiatico ha sperimentato uno straordinario processo di transizione democratica a partire dal 1999, passando dalla crisi economica di fine anni 90 alla crescita attuale, con una crescita del PIL che nel 2010 è stata del 6% e nel 2011 si attesterà ad un +8%: obiettivo prefissato dal Governo, mantenere una crescita annua stabile del 7-8% fino al 2013.

L’Indonesia fa parte del G-20 e molti analisti sostengono che avrebbe maggior diritto della Russia di far parte del BRIC: proprio a tal proposito è stato coniato un nuovo acronimo, il cosiddetto MIKT, costituito proprio da Messico, Indonesia, Corea del Sud e Turchia. Si tratta di un Paese ambizioso, aperto, leader dell’ASEAN (Association of Southeast Asian Nations), con una politica estera che guarda al di là dei confini asiatici, che ha buoni rapporti con USA, Russia, Cina (tuttavia il gap competitivo da colmare con i due big asiatici, Cina e India, è ancora notevole) e che mantiene posizioni moderate sulle questioni legate all’Islam. La società civile, caratterizzata da una forte identità religiosa, si basa sui principi di un Islam liberale in cui vengono garantiti i diritti umani e delle donne.

La svolta per l’Indonesia è avvenuta nel 1998 con la fine del regime di Suharto: il crollo del regime è stato favorito dalla crisi finanziaria che ha colpito l’Asia nel 1997 e che ha scatenato rivolte popolari e soprattutto la perdita del sostegno dell’apparato militare che non ha represso con la forza le rivolte di piazza. Dopo una fase di instabilità e transizione democratica, il cambiamento reale avviene nel 2004 con l’elezione di Susilo Bambang Yudhoyono, leader del Partito Democratico e principale artefice delle riforme politico-economico-istituzionali che hanno permesso lo sviluppo del Paese. Yudhoyono è riuscito inoltre a limitare l’impatto della crisi finanziaria del 2008 e a garantire pluralismo politico, libertà di stampa, elezioni libere. Si tratta sempre di un Paese relativamente povero e sottosviluppato con un alto livello di corruzione, ma la crescita in atto induce ad un certo ottimismo. Tra i punti a favore, il fatto che l’Indonesia non sia uno stato “Islamico” (inteso nella sua accezione negativa, ovvero di uno Stato governato dalla Sharia).

Da un punto di vista politico-diplomatico, l’Indonesia sta costruendo un proprio ruolo di leadership in quanto esempio di democrazia solida con un’economia in forte espansione. Nell’ambito dell’ASEAN, di cui è il Paese leader, l’Indonesia sta muovendo passi decisivi per una maggiore spinta verso la democratizzazione dell’area (Myanmar in particolare) per garantire una maggiore stabilità. Jakarta ha sempre avuto rapporti complicati con la Cina ed una forte presenza dello Stato nell’economia: oggi, con la fine della Guerra Fredda, i rapporti con la Cina sono ottimi (il gigante Asiatico ha contribuito a trainare l’economia Indonesiana), gli investimenti privati sono in netta crescita e si registra l’emergere di una classe media che sta finalmente uscendo dalla povertà. A differenza di altri Paesi in cui lo sviluppo economico non ha coinciso con un processo di evoluzione politica democratica, l’Indonesia rappresenta il caso in cui economia e democrazia sono stati i due attori principali dello sviluppo.

Questi i punti di forza dell’economia Indonesiana:

– Apertura dei settori economici per via governativa;
– 140 miliardi di investimenti in 5 anni (36% coperti da fondi pubblici);
– Forte domanda interna e aumento classe media;
– Risorse naturali (idrocarburi, minerali, oli vegetali);
– Inserimento nelle reti globali di produzione; integrazione regionale; proiezione sui mercati internazionali.

Questi invece i punti di debolezza:

– Scarsa trasparenza del sistema legale;
– Corruzione elevata nelle imprese locali e nell’imprenditoria;
– Persistenza di diseguaglianza sociali significative;
– Rischio di aumento generalizzato dei prezzi;
– Carenza di moderne infrastrutture (necessità di 100 miliardi di USD per i prossimi anni).

Per quanto riguarda il commercio estero e i suoi rapporti con l’Italia, i principali Paesi esportatori nello Stato Asiatico sono Cina, Singapore, Giappone, Stati Uniti, Malesia, Corea del Sud. L’Italia si colloca solo al ventitreesimo posto con una quota di mercato pari allo 0,7%. Le esportazioni Italiane sono aumentate in Indonesia del 25% nel 2010 rispetto all’anno precedente, ma il dato preoccupante riguarda la costante contrazione della nostra quota di mercato: nel 2002 il made in Italy riusciva ad esportare l’ 1,3% del totale. Ciò significa che le esportazioni Italiane aumentano perché aumentano le importazioni Indonesiane (+40% nel 2010 rispetto al 2009) ma continuiamo a perdere posizioni rispetto agli altri competitor. Per quanto riguarda le esportazioni Indonesiane i principali Paesi destinatari sono Giappone, Cina, Stati Uniti, Singapore, Corea del Sud, India e Malesia: l’Italia figura al 15.posto nel ranking con un aumento del 43% nell’anno trascorso, rispetto al 2009. L’Italia si configura comunque come quarto Paese esportatore dell’Unione Europea.

Riguardo gli investimenti diretti esteri, il principale investitore in Indonesia è Singapore (29,5%), seguito da Hong Kong (10,2%) e Stati Uniti (10,2%): i settori che attraggono la maggior parte degli investimenti sono i trasporti e la logistica (32,7%), il minerario (18%) e le utilities (gas e acqua – 12,4%). Gli investimenti si concentrano per il 43,3% nell’area della capitale Jakarta. I principali prodotti che vengono importati in Indonesia sono combustibili minerali ed oli minerali, oltre a prodotti di meccanica, macchine, apparecchi per la generazione, diffusione e controllo dell’elettricità, prodotti per il settore minerario, macchine per uso industriale e prodotti per la costruzione e non solo come tubi, compressori, pompe.

L’export Italiano si rivolge verso il segmento medio-alto della popolazione e riguarda principalmente il settore  della meccanica strumentale seguito a lunga distanza da prodotti in metallo, prodotti elettrotecnici ed elettronici, prodotti chimici, mezzi di trasporto, pelli e calzature; le importazioni Italiane, che si concentrano verso il segmento basso, riguardano in particolar misura le materie prime (oli vegetali, carbon fossile, gomma naturale). Le opportunità più interessanti per il made in Italy riguardano i settori di moda, autoveicoli e moto, alimentari e bevande, beni di consumo e meccanica.

Esistono tuttavia dubbi in relazione alla possibilità di effettiva crescita e tenuta dell’economia Indonesiana, ma tutte le analisi convergono ad ogni modo verso una valutazione molto positiva che induce all’ottimismo. In particolare la carenza delle infrastrutture rappresenta un importante ostacolo che può trasformarsi in un’ottima chance: il Governo ha già avviato un programma di ampliamento, ammodernamento e ristrutturazione del settore. Anche il settore bancario si presenta solido e affidabile (praticamente è in mano ai Cinesi) e non c’è nessuna pressione religiosa in grado di limitarlo.

In definitiva, l’Italia dovrebbe cercare di non perdere le possibilità offerte dal mercato Indonesiano e soprattutto dovrebbe cercare di progettualizzare nuove modalità di ingresso nel Paese, volte ad una crescita e ad uno sviluppo che non si basino solo sulla mera esportazione. I nuovi scenari dell’internazionalizzazione, della globalizzazione e dell’interdipendenza economica non lo consentono più.

 

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